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Il ciclo di vita delle Start up: differenze tra USA e UE

Il ciclo di vita di una start up è uno i quei temi che denotano la differente cultura tra due sistemi quello americano e quello europeo, noi la pensiamo diversamente, ecco cosa scrivevamo nel giugno 2015 per lo Youth Economic Summit:

Lo Start up Genome Report sostiene che il ciclo di vita di una start-up si articola in quattro fasi: a) discovery, b) validation, c) efficiency e d) scale. Nella prima fase le startup sono impegnate nel cercare la conferma su due aspetti principali, ovvero che il bisogno cui intendono offrire una risposta sia realmente percepito dal target  individuato  e che tale risposta risulti allettante per il mercato. Successivamente, durante la fase di validation, le start-up acquisiscono i primi clienti ed iniziano ad avere conferma che il target identificato è interessato al prodotto/servizio anche a pagamento. In questo periodo vengono definite le funzioni fondamentali da implementare, cresce il bacino di utenti ed arrivano i primi finanziamenti seed. A questo punto ha inizio la efficiency, momento in cui le start-up rifiniscono il loro business model in base ai feedback raccolti e migliorano l’efficienza del loro processo di acquisizione dei clienti, dotandosi di un’infrastruttura adeguata per lo stadio successivo di scalata. La scale è caratterizzata da eventi ben precisi, così definiti: il perfezionamento della value proposition, l’arricchimento della user experience e l’ottimizzazione del tasso di conversione. E’ proprio qui, nella fase di scale, che le aziende iniziano a correre e cercano di crescere in maniera dirompente.

Nell’ottica di quanto sin qui sinteticamente esposto, è interessante soffermarsi su quanto rilevato dal Rapporto Cerved PMI 2014, ovvero che negli ultimi anni è aumentato il numero delle start-up che non riescono neppure ad insediarsi nel mercato. Infatti, considerando un periodo di tre anni dalla costituzione dell’impresa, la percentuale di start-up che produce ricavi ed è effettivamente sul mercato risulta in continuo calo dal 2007 in poi. Se nel 2004 il 42,3% delle imprese nate tre anni prima era uscita dal mercato, nel 2012 questa sorte era toccata a oltre la metà (il 51,7%) di quelle create nel 2009. Da questa premessa appare chiaro che nel tessuto imprenditoriale vi è un problema di continuità delle nuove iniziative, pertanto, detto in termini essenziali, se riuscissimo ad aumentare il numero di start-up che riescono ad arrivare alla quarta fase, potremmo incrementare in maniera sostanziale la nostra economia. Il presente progetto intende proporre una soluzione della problematica evidenziata, mettendo in atto azioni utili a diminuire il tasso di mortalità delle start-up. Tali azioni hanno lo scopo di accompagnare le start-up prima nella fase di scale up e poi in quella di exit (identificabile con l’acquisizione del capitale da parte di grandi aziende). La soluzione qui proposta si incardina sulla constatazione che, frequentemente, le start-up non sono in grado di fare il definitivo salto di qualità, talvolta per mancanza di fondi o di appropriate competenze di sviluppo.  Inoltre i benefici possono ampliarsi, in quanto le risorse finanziarie che i founder riceverebbero dalle grandi aziende per l’acquisto delle start-up potrebbero tornare in circolo nell’economia, proprio per la natura stessa dello startupper, solitamente una persona dinamica il cui obiettivo non è vivere dei soldi incassati ma trovare nuove idee in cui investire.“.

Questo articolo del Corriere della Sera ci da ragione